La scienza dello Storytelling: perché una storia attiva il nostro cervello?

Simone Serni
8 min readMar 10, 2015

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Quando qualcuno ci racconta una storia, rimaniamo ad ascoltarlo, attenti ad ogni particolare. Perché accade? Cosa c’è dietro al concetto di racconto?

Sono molti anni che sentiamo parlare di Storytelling e di quanto sia importante ai fini del Marketing. In questo articolo voglio entrare nell’aspetto scientifico, parlando di cosa accade al nostro cervello quando qualcuno ci racconta una storia. Questo, ne sono sicuro, lascerà un tratto indelebile nel modo di vedere e considerare lo Storytelling.

Da migliaia di anni, fin da quando i nostri antenati iniziarono a dipingere i primi tratti umani e animali sui muri delle caverne, raccontare storie è stato uno dei principali metodi per comunicare e tramandare eventi, accadimenti, pensieri e costumi.

Lo Storytelling è comunicazione. E’ parte di noi e ci accompagna fin dalla nascita.

IL CERVELLO REAGISCE ATTIVAMENTE ALLE STORIE
Le storie ci attirano, rapiscono la nostra mente. Sia che ci vengano raccontate sotto forma di libro, di film, di videoclip musicale o al telefono da un amico. Ma perché ci sentiamo così legati alle storie? E perché veniamo colpiti emotivamente da esse?

In realtà è un fatto abbastanza semplice. Vediamo le differenze e lo scopriremo:

1) ASCOLTO DI UN ARGOMENTO MOSTRATO SU POWER POINT
Quante volte ci è successo di annoiarci mentre qualcuno ci mostrava una Presentazione Power Point? Eppure ci stavano raccontando qualcosa di cui pensavamo essere interessati. La scienza ci viene in aiuto spiegandoci che: quando ascoltiamo un oratore che non racconta una storia ma elenca dei punti o argomenti senza dare un senso emotivo al tema che sta esponendo, nel nostro cervello si attivano solo due precise aree chiamate Area di Broca e Area di Wernicke (aree che processano le parole in significato), nient’altro.

Mentre quando assistiamo ad un oratore che racconta una storia con filo logico e magari con anche una morale, le cose cambiano radicalmente:

2) ASCOLTO DI UNA STORIA EMOZIONALE
In questo caso, oltre ad attivare le aree di processamento delle parole in significato, attiviamo anche aree che servono a processare le esperienze di eventi e accadimenti (quelle dell’apprendimento).

Se qualcuno ci parla di quanto era buono il piatto di Linguine al pesto che ha mangiato ieri sera al ristorante, attiva subito la nostra corteccia sensoriale, ed involontariamente è come se noi partecipassimo emotivamente a quello che ci viene raccontato (più amiamo le Linguine al pesto più sarà forte il nostro coinvolgimento).

Questo è il motivo per cui le metafore hanno così tanto successo al fine di attirare l’attenzione e rendere un concetto semplice sia da comprendere che da ricordare. Grazie ad una metafora, tipo: “un’auto rosso fuoco”, “una persona con un cuore grande come una casa”, “è dolce come il miele” la mente dell’ascoltatore viene spinta a processare tali informazioni creando collegamenti con esperienze che già conosce, con verità a lui familiari.

Una storia aziona il nostro cervello e mantiene alto il grado di attenzione.

Quando qualcuno ci racconta una storia seguendo un filo logico e con elementi che ci aiutano a focalizzare i concetti esposti, la nostra mente si concentra, cioè si impegna nel mettere in relazione quelle informazioni con le esperienze pregresse.

A) L’EVOLUZIONE HA CREATO UN LINK DIRETTO CON LO STORYTELLING
Viste le considerazioni fatte precedentemente, sappiamo che il nostro cervello è maggiormente attivo mentre ascolta delle storie, soprattutto se ben costruite e con un andamento progressivo e lineare. Ma perché accade? La risposta è nascosta nella nostra evoluzione della specie.

Nasciamo già con questo tipo di costruzione mentale, perché nell’evoluzione (migliaia di anni) la mente dell’uomo ha creato collegamenti neurali che danno priorità alla comprensione di eventi e accadimenti (conseguenza dovuta allo spirito di sopravvivenza), mentre danno minore importanza a tutto ciò che riguarda la semplice azione del parlare o del discutere. Una caduta, uno schiaffo o un applauso attivano la nostra attenzione e, inconsciamente, anche il processo di apprendimento (“cosa è accaduto?”). Ad una persona che ci sta parlando, invece, offriamo un basso livello di allerta sensoriale, attivando solo il processo di trasformazione delle parole in significati.

Quando ascoltiamo una storia: più elementi ascoltati riconduciamo a nostre esperienze dirette e maggiore sarà il numero di concetti compresi e ricordati. Nel momento in cui la nostra mente cerca dei link ad esperienze conosciute/vissute, attiva una parte chiamata Insula, legata agli istinti primordiali di gioia, amore, tristezza, paura, rabbia.

L’immagine qui di seguito descrive bene questo concetto:

IL FAMOSO CASO DEL “PICCOLO ALBERT”
Nel 1920 Watson e la sua assistente Rosalie Rayner iniziarono degli esperimenti su un bambino di 9 mesi oggi noto come “Piccolo Albert”. Lo scopo di questo esperimento era di dimostrare che la paura, così come le altre emozioni, era il risultato di un condizionamento da parte dell’ambiente.

Watson inizialmente presentò al bambino una serie di stimoli come un topolino bianco, un cane, delle maschere e dei giocattoli e Albert reagì con indifferenza o curiosità. Un giorno lo psicologo mostrò ad Albert un ratto bianco e contemporaneamente colpì con un martello una grande sbarra di acciaio che provocò un forte rumore. Inevitabilmente il bambino iniziò a piangere.

Watson replicò questo procedimento molte volte finché Albert sviluppò una fobia per il topo poiché aveva associato il forte rumore della barra d’acciaio con la presenza dell’animale: il bambino iniziava a piangere e gridare appena vedeva il ratto. In seguito, il bambino mostrò anche un processo di generalizzazione: la sua fobia si estese a oggetti (come una maschera di Babbo Natale e un coniglio bianco) che per forma o colore ricordavano il topo bianco.

Questo esperimento porta alla luce come l’ambiente e le esperienze avute possono condizionare i nostri pensieri e le nostre reazioni, per questo motivo, nella comunicazione l’utilizzo di racconti e tecniche che facilitano i collegamenti con le nostre esperienze pregresse hanno così tanto successo. L’uso delle metafore, in alcuni casi, è determinante.

B) UNA STORIA CAMBIA IL NOSTRO MODO DI PENSARE
Ti sarà successo che un amico ti abbia raccontato una storia riguardo un accadimento e che il giorno dopo tu l’abbia raccontata ad altri amici. Ti sarai accorto anche che, più questa storia ti appassiona più tale accadimento diventa parte di te mentre lo racconti (quasi come se fosse accaduto proprio a te; te lo immagini, lo visualizzi mentalmente).

Ecco perché, anche secondo Uri Hasson, docente del Dipartimento di Psicologia di Princeton “lo storytelling è l’unica modalità che riesce ad attivare parti specifiche del cervello dell’ascoltatore e lo porta a processare quella storia come un qualcosa di personale, facendola diventare una propria idea o una propria esperienza”. La forza dello storytelling è proprio questa: l’ascoltatore tende a interiorizzare la storia facendola propria. Maggiore è il suo impatto emotivo con gli argomenti ascoltati e maggiore sarà il suo engagement, facilitando il ricordo nel lungo periodo.

C) SCRIPTA MANENT
Il tratto di una penna su un foglio è indelebile, una volta scritto rimarrà per sempre. Avevano ragione i latini nel considerare le parole volatili e lo scritto permanente. Accade così anche nel nostro cervello, nello specifico, è più facile ricordare qualcosa:

C1) se scritto di nostro pugno
C2) se visualizzato attraverso immagini o video (le immagini sono tratti disegnati/scritti)

D) LA FORZA DELLE IMMAGINI
Sappiamo bene come un’immagine riesca a far percepire più velocemente i concetti che vogliamo comunicare rispetto a quanto riesce a fare un testo scritto. Qualsiasi forma comunicativa diventa maggiormente efficace se utilizza immagini e/o video al suo interno (ad es. brochure pubblicitarie, presentazione in slide, pubblicità televisiva).

Leggi il mio articolo: Visual Marketing per il successo nel Social Media Marketing

Il 75% dei neuroni sensoriali del nostro cervello elabora informazioni visive. Fin dai nostri primi giorni di vita impariamo a interagire con il mondo circostante attraverso i nostri occhi. Iniziamo a leggere solo dopo i 5 anni, e rimaniamo tutta la vita attratti da immagini, colori e soprattutto dai volti umani.

Numerosi studiosi hanno analizzato i meccanismi psicologici che stanno alla base della percezione visiva e hanno formulato sostanzialmente due teorie: la prima dà grande importanza alle esperienze percettive precedenti, la seconda attribuisce un ruolo primario ai sistemi di archiviazione innati, ossia presenti nella mente di ciascun essere umano fin dalla nascita. Punti di riferimento per lo studio della psicologia applicata all’immagine sono gli studi di Richard L. Gregory, oltre a quelli di Rudolf Arnheim, Ernst Gombrich, Kurt Koffka, Max Wertheimer, Wolfang Kohler e Gaetano Kanizsa.

E) IL NOSTRO CERVELLO APPRENDE E MUTA
Ultima riflessione non meno importante delle altre: il nostro cervello evolve grazie all’apprendimento e tende a dare maggiore o minore importanza alle cose in base alle esperienze. In parole povere: senza renderci conto che accada, la nostra mente tende ad ignorare parole e frasi inflazionate (eccessivamente utilizzate) che siamo abituati a sentire.

Ecco perché quando qualcuno racconta qualcosa che noi già conosciamo ci sovrasta quello strano senso di insofferenza e di noia.

Questo è un punto focale! Determinante per l’efficacia comunicativa. Un buon comunicatore deve conoscere bene chi sono i suoi interlocutori perché solo così potrà gestire con cura gli argomenti da esporre, ricordando di utilizzare:

E1) CONCETTI FAMILIARI, idee, immagini o rappresentazioni già conosciute dal pubblico di riferimento per rendere l’argomento trattato più facile da seguire e ricordare.

E2) EMOZIONE, alcuni slanci emozionali espositivi aiutano l’ascoltatore a percepire i temi trattati più intensi e importanti (l’ascoltatore si sentirà parte integrante dell’argomento).

E3) SORPRESA, è bene seguire un ciclo espositivo ben strutturato e lineare ma si rivela determinante riuscire a creare momenti di sorpresa. Con frasi, immagini o video d’impatto. Gli obiettivi sono due: aiutare l’ascoltatore a focalizzare i concetti esposti o spiazzarlo del tutto al fine di riportarlo ad un alto grado di attenzione.

Ciò significa che:

Comunicazione senza Storytelling = basso engagement
Se una comunicazione non fa uso dello “Storytelling”, non attiva le aree della Corteccia dedicate al processo delle esperienze e ciò comporta bassa attenzione da parte dell’ascoltatore.

Comunicazione non emozionale = basso engagement
Se una comunicazione non offre emozioni, rende difficoltoso all’ascoltatore diventare parte della storia. Si sentirà distante e non capito.

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